Dal 1980 al 1999
Il mondo pittorico di Maria Pia Russo
di Gianni Gaspari
Se non è possibile il Cambiamento, se la palingenesi è un mito, bisogna cercare di capire di più ciò che ci circonda e renderlo migliore, riformarlo. Se l’Eden è un sogno (e la cifra onirica dì Maria Pia Russo lo afferma esplicitamente con certe visioni che sembrano proprio un sogno, se non addirittura il sogno di un sogno), bisogna tentare di trovare almeno un suo riverbero nelle cose e nei volti che abbiamo intorno.
Maria Pia Russo compie tale cammino con una ricerca personale e complessa, a volte appesantita da un eccessivo processo di accumulazione ma per lo più valorizzata da intelligenti combinazioni cromatiche. In questo universo dal fascino inquietante, la pittrice teramana smonta e ricompone elegantemente gli oggetti della sua indagine, affidando alla donna ed ai bambini le ragioni della superstite fiducia: con tenera simpatia ed anche con un moto dolente per una serenità che ci manca e nella quale tuttavia bisogna sperare.
15 dicembre 1983
Il sogno della giovinezza
di Dario Micacchi
Tanto è tagliente la geometria di pianeti e stelle che Maria Pia Russo crea per le sue bambole-ancelle quanto è impalpabile lo spazio dove distendono i loro gesti le danzatrici. Dunque due motivi pittorici assai diversi ma è 1o stesso principio di liberazione che guida la costruzione poetica e pittorica dei due momenti. Un carattere interessante della figurazione di Maria Pia Russo è una sublimazione dell’eros – ad esempio il tondo con la bella giovane donna bruna che si fa rosa tra le rose come fosse in un cesto – che si accompagna a una sublimazione mistica evidente nella immagine dolcissima con la fanciulla inginocchiata e l’altra dietro la colonna mentre la scena, che ha altre figure, viene chiusa da un morbido cerchio di rampi16 canti dai fiori bianchi. Torna il cerchio in quattro parti sfalsato con una strana luce di smeraldo che illumina il passo di tre danzatrici. Ma a dire il vero una segreta geometria sottende la fiaba dipinta in tanti quadri: è un’armonia spaziale che esalta l’armonia del sentimento. Il “clima’ di intensa vibrazione luminosa del colore non sarebbe così tipico senza questa segreta geometria.
Roma, 25 giugno 1991
“Donna dentro” per narrare la bellezza in vista
L’Aquila. Musiche medioevali o discorsi critici, cominciando con Luigi Talarico, maestro dell’indagine sul moderno e le sue radici, per l’apertura di una mostra coraggiosa e bella, nel senso stupefatto della parola “bella” aperta nel Forte Spagnuolo. Espone Maria Pia Russo (Chieti 1953), che arriva alla pittura da studi letterari e filosofici. Si vede, dentro ripensando alla sua figurazione, in questa mostra dedicata, così nel titolo, a “Donna Dentro”. Sul titolo si accumulano opposti significati, fino al risultato chiaro che fa di questa artista una donna d’oggi, ed insieme antichissima di sempre…….
Perfino la musica risulta discesa nel profondo poetico se agisce sulla pelle, nei ritmi interiori ma esternabili del corpo. Maria Pia Russo fa danzare i suoi personaggi pur se raggomitolati nel silenzio del corpo….
La pittura ha meditate vaporazioni del colore, che fuoriescono dal “dentro” nel quadro, un dentro persino ovalizzato sulle tele tonde, in apparenza fragili. Ci si rende conto, affrontando il quadro, che ci troviamo dinanzi ad una pittura forte.
Verrebbe da dire virile ….
Un post-preraffaellismo potrebbe essere l’incasellamento di questa pittrice…
Una presenza fresca nella pittura d’oggi.
Giuseppe Selvaggi
Idealità classica e linguistica moderna
di Luigi Tallarico
La costante correlazione con cui Maria Pia Russo lega alla sua pittura poesia, colore e musica, anche purezza di linee e funzionalità di figura (tra la metafora moderna e il geroglifico sacrale antico), ci induce ad un approccio critico basato sulla rappresentazione di una sua identità ideale, più che sulla trasfigurazione fantastica di una esperienza naturalistica. “Esperienza – scrive Micacchi nella monografia dedicata all’artista – fortemente mediata dalle energie scoperte della natura’. In effetti, la pittura-grafica della Russo è collegata – come hanno teorizzato i simbolisti e come ha confermato il segno, insieme intellettivo e perverso, cioè antinaturalistico, di Beard-sley ad un style archètipe e perciò soggetta ai plèonasme significatifs.
Il riferimento più pertinente all’opera della Russo riguarderebbe se mai il fenomeno dei ritornanti accademismi o citazionismi, che reinterpretano (o riportano?) al presente le idee-forme del manierismo artistico, dei miti di Assiria e di Egitto alle forme dell’umanesimo classico idealizzate.
Micacchi riferisce che la danzatrice, Odette o Giselle che sia, viaggia poeticamente come un corpo celeste e le membra sono così allungate nel moto di liberazione che mutano funzione”.
10 febbraio 1994
Legittimità di un recupero vichiano
di Renato Civello
Si osservino, dopo certe fiabe ad acrilico degli anni Ottanta (con i timbri vivaci della costumista di classe), dopo i boschi incantati e alcune proposte sociali e gli indugi introspettivi, le opere di quest’anno. Qui l’arte assolve davvero, accordando in buona parte l’idealismo hegeliano con il positivismo di Herbert, ad una molteplice funzione. Anzitutto l’autonomia, che è poi il momento edonistico del rapporto con
l’immagine, della fruizione estetica: un Paesaggio in azzurro albescente, una progressione di lievi cadenze tonali dietro un arabescato intrico di linee che ricorda la rapidità ,segnica di un Dufy, ci appaga anche senza motivazioni e così anche questa o quell’altra dolcissima Mater, un inno alla sacralità genetica dell’amore sempre incastonato in una sorta di diadema folto di vibrazioni grafiche e di cromia, suscitano in primo luogo il senso di un’appropriazione totalmente goduta nella sua oggettiva valenza epifanica.
Naturalmente, a questa fase della fruibilità fenomenica, del bello che piace ed avvince, segue il complesso itinerario dello spirito, che anche per Maria Pia Russo, come per ogni artista di buona razza, è gnoseologico ed etico insieme. Conoscere, infatti, è crescere spiritualmente. Così i contenuti — la capacità di interrogare la vita con ardore di consenso e schiettezza d’intuito — fanno la loro parte; e, supportati peraltro da una corretta filologia espressiva quanto a rigore d’impianto, a dosaggio e rispondenze di gamma, a respiro d’atmosfera, hanno un peso diretto nel sottrarre l’opera all’empiria dell’effimero. E felicemente complementare, quasi ad esaltare lo scavo dichiarato dai nuclei compositivi, è la fluida ragnatela che li incornicia, li avvolge, li strania dal loro abituale registro.
Roma, 3o giugno 1995
Il tempo delle fiabe
di Paolo Levi
Mai prima d’ora – lo devo confessare – mi era accaduto di imbattermi in un’artista, come Maria Pia Russo, il cui lavoro si svolgesse come in un sogno astratto, dove il gesto pittorico rappresenta l’ultimo atto visivo di un momento già vissuto ma non accaduto, proprio come in una favola di Andersen o dei fratelli Grimm.
Maria Pia Russo ha una profonda necessità di narrare e di trasfigurare l’immagine umana in chiave di imaginerie poetica. Ella sa tenere, con giusta dovizia, in equilibrio la raffigurazione con il calcolo materico.
Le tele della nostra pittrice, poste l’una accanto all’altra, mutano in un grande spettacolo, in uno scenario dalla deliziosa rappresentazione, annunciatrice della sacralità dell’essenza della vita. In effetti, Maria Pia Russo porge questo messaggio come una preghiera.
Torino, 15 dicembre 1995
“Tutto diventa casto”
L’arte elevata a preghiera, pur restando energia libera senza finalità, è la premessa di presentazione del libro d’arte dedicato a Maria Pia Russo.
La conferma della convinzione di trovarci dinanzi ad una artista che tutto chiede all’arte, allargata nello slancio operativo verso più arti, e nella fantasia a tutte le arti, viene oltre che dal suo operare, sulla tela e sulla pagina, dalla stessa artista: il cui coraggio, nel dichiararsi ed essere chiamata alla poesia sotto ogni forma, ha la bianchezza assoluta della fede, e l’altrettanto assoluto nero della volontà di imporre agli altri questa sua fede.
Il Bianco e il Nero in fusione non risultano grigio nella personalità di Maria Pia Russo. C’è, in lei, un chiarore intermedio di Gioia e di Pena che assurgono ad alone religioso: religione della poesia, che quando aspira all’assoluto provoca sacralità senza via di scampo. Cioè: dedizione senza uscite. Maria Pia Russo si nutre di questo desiderio di essere Mater di poesia. È condanna felice, anche se è difficoltoso, persino accidentato, il cammino per comprenderla in pienezza.
La fusione degli opposti, curve del corpo, vortici dello spazio, avviene per segreto musicale. L’artista mentre lavora ascolta e trasferisce nell’opera ondate di ritmi musicali, tra calma e vortice.
Maria Pia Russo anche in un titolo vede in ogni cosa tutto Dio. Sembra il motto di una vita dedicata a eremitaggio religioso a, al contrario, ad esistenza di esaltazione, tra corpo e anima, di ogni momento dell’esistenza. Questa Pittrice-Poeta ha dell’esistenza un sentimento di santa necessità quotidiana: tutto è da assaporare.
L’artista parte da una idea disegnata nella mente, meditata. Il progetto del quadro prosegue sino ad incarnarsi, quale essere vitale, in una previsione finale, compiuta sin nel titolo. A volte nasce prima il titolo. A volte le variazioni si inseguono durante la esecuzione, che però è con rigore controllata. Abbiamo una pittrice che al quadro innesta una ossatura di disegno e di pensiero. Interviene la illuminazione del colore. È una pittrice di chiarità, anche quando l’utilizzazione dei neri, sfumanti sino al grigio, interposti con bianchi assoluti, aggiungono per contrasto chiarità al già chiaro. Non coesistono in lei pentimenti durante l’esecuzione, perché la misura del quadro è già in lei, prima di aprirsi all’esecuzione. Il colore non si raggruma ma lascia trasparire sé stesso. Il rosso è rosso. L’azzurro è azzurro. Nel complesso ruotare dei colori, che sono l’anima della pittura, viene realizzata la fusione, per accostamenti. Nel laboratorio intimo della pittrice i colori hanno una loro localizzazione, per giungere ad una narrazione. Non dimentichiamo che la pittrice è simultaneamente poeta, con la parola.
Giuseppe Selvaggi
Maria Pia Russo: la gioia astratta nel figurativo oggi
di Giuseppe Selvaggi
Maria Pia Russo seleziona le tentazioni e si butta, con gioia persino fisica oltre che mentale, nella tradizione del figurativo. Lo fa con sicurezza intima, che potrebbe essere messa in formula con un verso contemporaneo: l’anima è il corpo. Quindi: il corpo è l’anima.
Dal 2000 a oggi
Critica letteraria del Prof. NINO PICCIONE
sulla poetica della pittrice e poetessa Maria Pia Russo
Il libro. Anzitutto il titolo, felicissimo: “Arte come preghiera – in pittura e poesia”. Per quanto riguarda la pittura il pensiero corre al Beato Angelico che dipingeva le sue Madonne in ginocchio, trasfigurandosi e trasfigurando la sua arte.
Per la poesia, da quando Henri Bremond parlò di poesia come preghiera, cogliendo le sottili analogie tra queste due operazioni dello spirito — l’intuizione poetica, per lui, coincide con l’ascesi del mistico-, la poesia è parsa spesso come un riverente e silenzioso appressarsi alle soglie del mistero. Ancora più convincente la felice intuizione di Bremond quando poesia e preghiera si fondono, come accade alla poesia di natura religiosa………
Le liriche hanno una singolare capacità di suggestione, e ciò per il risolto incontro tra un linguaggio che ritrova la persuasività della comunicazione e un mondo emozionale e visivo tutto personale. A volte la poetessa avverte l’ansia e il brivido del mistero ed è pervasa da una inquietudine interiore dinanzi a quella “notte oscura” conosciuta e patita da tanti mistici, per il silenzio di Dio che mette alla prova le sue creature. Alcune citazioni:
“Nel silenzio della mia/ solitudine…/ assaporo/tutta la poesia del nulla”. Perché/ metti alla prova/le mie forze? /Tu vedi la debolezza della mia carne/ e la grande miseria/ del mio spirito”. “In quelle ore/ cerco di pregare/e le labbra non si aprono/ e il cuore s’inaridisce”. Momenti di buio; di stanchezza e di lamento; di secco silenzio e di secca agonia; di soffice insidia, di inebriato abisso e di abbandono, di silenzio, d’arsura, di respiro stentato e di appassite visioni.
Quello della solitudine (tre liriche hanno questo titolo, così come un dipinto. SOLITUDO, con quella figura femminile che sembra atteggiata all’ascolto della sua anima) è un motivo dominante nella poesia di Maria Pia. Solitudine come donna. Solitudine come artista. Solitudine come creatura partecipe del comune destino umano. Solitudine dinanzi al mistero della rinuncia e del dolore.
Solitudine, però, che non diventa mai disperazione, ma è, invece, accettazione, preghiera, supplica, offerta. “Per il calice amaro/ di questa solitudine/ ti offro la mia anima/ nuda.” dice.
Ma è anche profonda consapevolezza: “Non c’è nessuno/ che possa capire/ cosa c’è nell’anima/ di un artista”. Ci sono poi l’immensa “solitudine spirituale”, “i silenzi della solitudine”, i “profondi silenzi dell’amore”, con i fantasmi della notte, e così Via.
C’è un sentimento che tocca vertici di altissima poesia: è il sentimento dell’amore. Amore divino e amore umano. È difficile leggere senza rimanere turbati e commossi la lirica “Di fronte a Te”, un inno alla grandezza e alla bellezza di Dio, alla sua misericordia, alla sua tenerezza paterna.
Di fronte a te si consuma il mio niente o Dio dell’amore e della misericordia… Tu che apri la mia mente, Tu che suggerisci le mie preghiere, Tu che benedici le mie mani; Tu, amore infinito del mio cuore; Tu bellezza ineffabile della mia vita, Tu, giardino profumato che ti apri sotto i miei occhi; dolcezza grande del mio essere più profondo, Ti amo. Tu che dai significato ad ogni mia scelta… Tu che addolcisci ogni mia azione; Tu che mi prostri stanca e sudata alla tua soave presenza: Ti amo.
Preghiera, trasalimenti, speranze, battiti d’amore e di gioia, pianto sommesso rivivono con disarmata scrittura. Si avverte come una eco del Veni Creator, ma anche il riverbero delle preghiere dei Padri della Chiesa e dei mistici come San Giovanni della Croce…….
Teramo, 8 gennaio 2000
UN MONDO DI SOGNO
Quando il segno fa cantare il colore in funzione del bello
Approdata alla pittura dopo gli studi classici, che si evidenziano nelle poesie con le quali accompagna i suoi quadri, Ella mostra una sensibilità che scaturisce dalle radici magiche della sua naturale polla artistica. Senza quegli accenti dolorosi della vita immancabilmente elargisce ma depurando le sue ambasce, che simboleggiano nella minacciosa presenza di una sottile rete di colature, in quella sede che la sostiene e che trabocca dalle sue eleganti figurazioni. Su quel segno corre la sua cosciente adesione vita che abbellisce nel colore con accenti di purezza incontaminata.
Maria Pia non è seguace di Accademie, anche se si è formata con brevi apparizioni in qualificate scuole d’arte ma trae linfa dal suo continuo studio dei grandi maestri del passato che ha innervato il suo naturale impulso d’amore e dedizione all’arte.
Se un’opera non basta per farmi scoprire appieno la cifra artistica che connota il suo percorso, però evidenzia quanta intima partecipazione vi sia nel dipingere una tela.
Un colloquio con Maria Pia ed un’analisi di tante riproduzioni di altri suoi dipinti confermano che quel dipinto non è figlio unico del caso ma semplicemente una finestra per la quale entrare nel suo mondo ideale. E vi si accede con quell’emozione che sempre un bel quadro dispensa in chi sa vedere in profondità e cerca poi conferma nell’abbondante produzione capace di irretire, anche con le tante poesie che integrano la pittura e che svelano la comune radice che fiorisce sia nelle parole che, in altra forma, nelle affascinanti tele.
Il sentimento che pervade queste opere mostra un’anima permeata da quella convinta fede che suggerisce all’artista di dipingere i simboli della sua religiosità puntando sulla presenza della figura umana come scaturita da quel potente e mirabile “alito” che ha generato l’umanità.
Maria Pia non si ferma alla superfice, pur importante, delle sue creazioni ma vi entra dentro con uno spirito razionale che la sua poesia sa decantare e proiettare
nel suo cosmo spirituale come immagine di una creatura che sa diventare anch’essa creatrice. Di un mondo di fiabe in apparenza ma che invece di esse si serve per esprimere quel sentimento radicale che illumina la sua esistenza. La sua arte quindi diventa la quintessenza dello spirito tradotta in immagini che tradiscono nella purezza del segno e nella sonorità del colore un perenne inno al Creatore….
Gianni Franceschetti
Sulla spinta del filosofo e teologo canadese Bernard Lonergan (1904-1984), il cui pensiero, a poco più di cent’anni dalla nascita e a più di vent’anni dalla morte, sta vivendo anche nel nostro paese un crescente, seppure circoscritto interesse, una comprensione del significato di imitazione nel senso di essere nell’alveo di una costante della storia della salvezza che contempla il ringraziamento, la lode, la dossologia, la benedizione, la beatitudine, la tribolazione come occasione in entrata ed in uscita di una buona notizia comunicata ed accolta bene; contribuisce dall’interno a precisare un soggetto con le sue opzioni, organico ad un processo di profilo e portata rilevante per l’umanità della fede e la vita non da scarto dei figli della Chiesa, compresi spesso come persone non grate per natura e per virtù.
Sono le linee di sviluppo di una traccia espositiva, articolata su venti pastelli e tre dipinti sacri a firma di un’artista abruzzese, Maria Pia Russo, che è stata allestita nella sagrestia di santa Maria in Montesanto (Chiesa degli Artisti) di Via del Babuino, 197s a Roma dall’8 al 23 ottobre 2005. Il lavoro presenta i misteri-eventi di Cristo nella preghiera del Rosario, compendio del Vangelo.
Parte centrale della preghiera visiva è riservata al sentire e gustare le cose intimamente in merito agli scenari del cuore, del tempo e della Chiesa che ineriscono in modo simmetrico e speculare ai circuiti della gioia, della luce, del dolore, della gloria racchiusi scandalosamente tra la vita umana e divina in una interrelazione che non è sostituzione, ma è continuità, sintonia e pienezza.
È quello di cui si ha particolarmente bisogno oggi, visto che il mondo in cui viviamo è fatto di codici fiscali e numeri che in ogni situazione ci contrassegnano, di tecnologia e anonimato, di freddi calcoli e robot telecomandati. Lo aveva evidenziato Giovanni Paolo II di felice memoria, quando, per esempio nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte [NMI] del 6 gennaio 2001, ha parlato delle comunità cristiane che si distinguano nell’arte della preghiera e diventino nell’impegno di contemplazione del mistero cristiano «autentiche scuole di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero “invaghimento” del cuore>
Andrea Cecere
monfortano
L’artista Maria Pia Russo, nel corso del 2003, ha realizzato i Misteri del Rosario. Non a caso tale delicato lavoro è andato maturandosi quando nell’ottobre del 2003 si chiudeva l’Anno del Rosario, indetto il 16 ottobre 2002 da Papa Giovanni Paolo II con la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae. Il Rosario «una preghiera così facile, e al tempo stesso così ricca, merita davvero di essere riscoperta dalla comunità cristiana […].
Maria Pia Russo ha realizzato tutti i 20 Misteri, includendovi quelli della Luce. Sono pastelli su carta da pacco scorniciata irregolarmente. La voluta povertà dei materiali assume un preciso valore simbolico perché come Adamo è polvere, prima del soffio di Dio Creatore, così carta e pastelli sono materie povere prima che l’artista le trasfiguri nell’opera d’arte. In queste opere è come se l’immagine si concretizzasse d’improvviso, evocata dalla preghiera e dove il gesto pittorico rappresenta l’ultimo atto visivo di un momento già vissuto, ma non accaduto, ed impugnata dalla Parola tra le mani e nel cuore come il tesoro in vasi di coccio (cfr 2 Cor 4,7).
L’esperienza visiva è lo strumento attraverso il quale il visitatore sperimenta come la bellezza dell’arte orienti oltre sé stessa a qualcosa di più alto. Opera “preziosa” dunque, questo ciclo, che va a completare il mondo artistico della Russo, «…un mondo fresco e vivo, cresciuto su di sé fuori delle mediazioni alchemiche, riluttante agli approdi ambigui, tutto verità e avvertimento spontaneo…» come l’ha definito Renato Civello nella bella monografia, a cura di Giuseppe Selvaggi, pubblicata dalla Gangemi di Roma nel 1999i Il titolo, Arte come preghiera in pittura e poesia, poneva in luce la duplice vena creativa dell’artista, quella pittorica e quella poetica(ivi, 21s) . Già, perché Maria Pia Russo è anche una sensibile poetessa. E le due creatività hanno sicuramente un punto di convergenza nel profondo sentimento religioso che le sostiene «Di fronte a Te/ si consuma/ il mio niente/ O Dio dell’amore/ e della misericordia…/ Tu che apri/ la ma mente/ Tu che suggerisci/ le mie preghiere/ Tu che benedici/ le mie mani…» ha scritto Maria Pia Russo nella lirica “Di fronte a Te” (ivi, 127). E di fronte a noi sono giunti questi Misteri del Rosario e noi percepiamo che l’invocazione dell’artista a Dio, affinché benedica le sue mani, non è stata vana, ma elegante del “Beata tu” del Magnificat e del “Beati voi” delle Beatitudini. «…Tu, amore infinito/ del mio cuore/ Tu bellezza ineffabile della mia vita/ Tu giardino profumato/ che ti apri/ sotto i miei occhi!! Dolcezza grande del mio essere/ più profondo…/ Ti amo! / Tu, che dai significato/ ad ogni mia scelta…/ Tu che addolcisci/ ogni mia azione! Tu che mi prostri/ stanca e sudata/ alla Tua soave/ presenza!! Ti amo! …/ e desidero essere Tua per sempre!! Grazie…» (ivi, 127)
Stefania Severi
Critico d’arte
Tutto ciò che la circonda e fonte di ispirazione per la “sua arte” che è non solo pittura, ma anche poesia. interiore particolarmente sensibile e particolarmente attento alle espressioni dello spirito. Nel suo caso e giusto parlare di una “dolce malinconia”, che è una introspezione sempre stimolata da una fonte di “pace”, la cosiddetta “pace del cuore”, che è un portato della “fede”: particolarità che da sempre ha caratterizzato tutta la sua produzione artistica fin dai più teneri anni dell’adolescenza. Da tutto questo nasce la “meditazione”: inscindibile espressione della sua personalità artistica, da cui l’occhio attento sa attingere per tradurre questo in un suo personale colloquio non solo con tutto ciò che riguarda l’essere umano, ma anche l’Essere Divino.
Manuela Pacelli